Maria esulta perché ha fatto un’esperienza felice, unica, sconvolgente: ha incontrato Dio, riconoscendo il suo volto tra mille, si è fidata di Lui, gli ha offerto un grembo ospitale, e così la buona novella del Vangelo si è fatta carne in Lei. Maria si è abbandonata alla logica dell’amore, scommettendo tutto sulla gratuità e sul fascino di Dio, come può fare solo una donna innamorata del suo sposo. Con stupore adorante, ora esulta, si compiace dell’Amato, come di Colui che salva, e non di se stessa, come destinataria privilegiata del dono. A lei è toccato di essere primizia di salvezza e di gioia, per muoversi per prima verso la nuova Gerusalemme, come una sposa adorna per il suo sposo (cf Ap 21,1-2), ritta nella speranza di vedere Dio all’opera nel tergere le lacrime dagli occhi del suo popolo, in mezzo al quale non ci sarà più la vittoria definitiva della morte, né lutto, né lamento, né affanno perché, in Gesù, è stata aperta davanti all’uomo di ogni tempo una porta che nessuno può chiudere (cf Ap 3,8) e che introduce nel regno dei cieli. Una porta spalancata verso l’eternità, che fin da ora possiamo varcare nella misura in cui, come Maria, ci lasciamo interpellare dal Vangelo. Nel cantico di Maria, lo vediamo bene, è raccolta tutta l’eredità dell’Antico Testamento, e con essa le attese di un popolo, ed oggi le nostre: il grido soffocato dal pianto nel tempo della schiavitù si fa voce d’esultanza, il lamento nel giorno dell’angoscia diventa canto di giubilo, e le vesti stracciate nell’ora del pentimento si trasformano in tuniche di salvezza.
Entriamo con fede nella logica delle beatitudini e poniamo in Cristo la nostra gioia!
Raccogli, Maria,
le nostre lacrime
e le nostre speranze,
liberaci dalla presunzione
e dall’autosufficienza,
dal pessimismo e dalla paura
e donaci di esultare ogni giorno
della nostra vita
dinanzi al volto del Signore
che inonda di gioia
chi si espone alla luce del suo Vangelo.