Beata l’aveva già proclamata Elisabetta perché Maria aveva creduto che Dio mantiene ciò che promette. Maria però va oltre: si autodefinisce beata non in virtù del suo credere, ma per la bravura di Dio che salva, feconda e innalza. Bello quel suo “d’ora in poi”, solenne, determinato, che scandisce senza mezzi toni il tempo nuovo che è già cominciato. A partire da questo momento – sembra dirci Maria – niente sarà più come era nella mia vita. Ho coscienza che ciò che Dio ha fatto in me è così grande che tutte le generazioni mi chiameranno beata. “Beata Vergine Maria”, canta infatti incessantemente la Chiesa da duemila anni, con gli occhi puntati sul mistero di Dio che da quel momento della storia, da quel luogo del pianeta, da quella semplice famiglia, da quel cuore di piccola donna si è fatto visibile e ha riversato su di noi grazia su grazia, perché diventassimo lode e gloria di Dio, in Cristo Gesù. “Tutte le generazioni”, dunque anche la nostra. Tocca a noi oggi chiamare beata Maria di Nazaret. Non per incensarla esprimendo una lode solo vocale, sganciata dalla vita. Pronunciare questa beatitudine significa riproporre, a livello esistenziale, nell’oggi del mondo e della storia l’esperienza di Maria, ripercorrendo nella nostra vita le tappe del suo sì a Dio.
Rinnoviamo le nostre promesse battesimali con spirito di accoglienza del dono della fede, fuggendo il volontarismo dell’’’io faccio, io sono, io posso, io devo…” Il Vangelo, infatti, si fonda sul dono ricevuto, non sul dovere che siamo capaci di compiere con puntigliosa fedeltà.
Con Maria, anche noi beati
per il sacramento della nostra rinascita,
ti lodiamo, ti benediciamo e ti glorifichiamo, Signore.
Dal cuore squarciato del tuo Figlio
hai fatto scaturire per noi
il dono nuziale del battesimo,
prima Pasqua dei credenti,
inizio della vita in Cristo,
fonte dell’umanità nuova.
Dall’acqua e dallo Spirito,
nel grembo della Chiesa vergine e madre,
tu generi il popolo sacerdotale e regale,
radunato da tutte le genti
nell’unità e nella santità del tuo amore.