Pietro di Angelerio nacque ad Isernia attorno al 1209-1210, undicesimo di una famiglia di dodici figli. La prima tappa della sua avventura cristiana coincise con l’ingresso nella Badia di S. Maria di Faifoli, dove venne istruito secondo la regola benedettina.
Pietro di Angelerio cominciò la sua vita di anacoreta benedettino sulle falde del Monte Porrara, dove ore sorge l’eremo di Madonna dell’Altare. La vita aspra condotta su questo monte incarnò l’esigenza religiosa di un cristianesimo, che voleva essere ritorno alla purezza apostolica delle origini.
Una volta “forgiatosi” sul Monte Porrara e ordinato sacerdote, Pietro di Angelerio iniziò una grande opera di riconquista alla Chiesa delle genti delle aree montane.
La Maiella venne utilizzata come palestra di vita per le anime semplici dei suoi seguaci, divenuti in breve tempo un piccolo esercito, che conquistò il sud della penisola italiana percorrendo gli assi viari delle zone agro-pastorali.
Nel lungo viaggio per ottenere il riconoscimento del suo Ordine, i Fratelli dello Spirito Santo, da papa Gregorio X (Concilio di Lione, 1275), Pietro di Angelerio, ormai noto come Pietro del Morrone, diventò il personaggio più in vista del momento, per le sue virtù taumaturgiche e per l’ideazione dei primi rudimentali servizi di solidarietà sociale: ospizi, mense per i poveri, accoglienza e soccorso ai viandanti. L’Ordine dei Fratelli dello Spirito Santo, la cui casa madre era a Sulmona, si diffuse in Italia ed in Europa: Abruzzo, Lazio, Campania, Puglie, Belgio, Inghilterra.
Anche i laici furono coinvolti nel movimento di Pietro del Morrone. Il connubio tra l’organizzazione monastica e le genti si configurò come una società in cui l’individuo riacquista fiducia in se stesso e negli altri e si sente sicuro di bene operare e sperare. Le “Fraterne”, come quelle istituite ad Isernia, realizzarono rapporti tra gli individui basati su onestà, lealtà. solidarietà cristiana, azioni concrete nel campo dell’assistenza ai più deboli.
Dopo un conclave durato tre anni, nel quale le correnti cardinalizie si scontrarono tra loro non riuscendo a dare il nuovo Papa alla Chiesa, per intervento del card. Latino Malabranca il collegio cardinalizio si risolse ad eleggere papa Pietro del Morrone, umile eremita assai noto non solo per le sue qualità taumaturgiche, ma anche per il favore in lui riposto dagli spiriti riformatori, che ritenevano la Chiesa troppo mondanizzata e temporalistica.
Pietro del Morrone, che assunse il nome di Celestino V, fu incoronato all’Aquila nell’Abbazia di S. Maria di Collemaggio il 29 agosto 1294. La Perdonanza fu il primo, inaspettato atto del nuovo Pontefice, emanato nella città dell’Aquila il 29 settembre 1294, un mese dopo l’incoronazione papale. Celestino V volle “assolti da ogni pena e da ogni colpa tutti coloro che, veramente pentiti e confessati, avrebbero visitato la Chiesa di S. Maria di Collemaggio nell’annuale ricorrenza della Decollazione di S. Giovanni Battista, dal vespro del 28 al vespro del 29 agosto”.
Non si trattò solo della remissione dei peccati e della pena temporale, ma di una vera e propria riconciliazione sociale. I problemi, che si posero davanti a Celestino V, furono tanti e in buona parte di natura politica. Le costrizioni morali esercitate da re Carlo II d’Angiò obbligarono Celestino a trasferirsi a Napoli e non a Roma. Nella capitale del Regno Angioino il Pontefice si sentiva sempre più prigioniero, costretto a subire le pressioni del potere politico e di quello dei cardinali e della Curia pontificia. In questa atmosfera nella mente di Celestino maturò il proposito di abdicare, codificando questa sua decisione in una bolla che ne rendesse valido il principio e che potesse servire nel futuro per qualsiasi successore. L’abdicazione di Celestino V avvenne nel Concistoro del 13 dicembre 1294. Dopo l’abdicazione si aprì per lui il capitolo più tempestoso della sua vita. Il suo intento di tornare nell’eremo del Monte Morrone venne osteggiato dal nuovo papa, il cardinale Benedetto Caetani, Bonifacio VIII, che decise di portare Celestino con sé a Roma al fine di tenerlo sotto controllo, per evitare che qualcuno potesse abusare della sua semplicità e spingerlo a compiere errori.
Simulando la partenza, Celestino fuggì da Sulmona e si diresse in Puglia. Il tentativo di fuga ebbe termine a Vieste, in Puglia, dove i messi papali lo raggiunsero e lo fecero prigioniero mentre tentava di imbarcarsi per la Grecia. Dopo aver chiesto inutilmente di essere liberato e dopo aver trascorso due mesi ad Anagni, Celestino nell’estate del 1295 venne rinchiuso nella rocca di Fumone, dove trascorse gli ultimi dieci mesi della sua vita. Celestino morì il 19 maggio del 1296; la sua salma venne tumulata il 21 maggio dello stesso anno in S. Antonio abate di Ferentino, cenobio che lui stesso aveva fondato tra il 1250 e il 1260. Il corpo venerato rimase in S. Antonio abate Fino al 1330, anno in cui venne traslato nell’Abbazia di Collemaggio all’Aquila, dove tuttora è custodito. A Ferentino rimase l’insigne reliquia del suo cuore incorrotto.