La luce

Gesù parlò ai farisei e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».

Gesù afferma di se stesso: “io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Con queste parole Gesù rivela a tutti chi egli è e quello che vuole essere per gli uomini. La luce illumina: chi segue Gesù, dunque, non cammina nelle tenebre. Questa affermazione di Gesù suscita una reazione dura da parte dei Giudei perché la parola “luce” nella letteratura religiosa ebraica è intimamente connessa con il primordiale anelito dell’uomo verso l’Assoluto. In Gesù questa luce è venuta nel mondo per dissipare le tenebre, perché quelli che arrivano a credere in Lui non rimangano nelle tenebre. Risplendendo in Lui quale rivelatore incarnato, la luce di Dio illumina l’esistenza umana e dà all’uomo la conoscenza dello scopo e del significato della vita. Queste affermazioni di Gesù si rivelano scandalose per i Giudei, i quali vogliono giudicarlo per la sua pretesa di essere la luce del mondo. Egli dichiara che la sua azione illuminatrice deriva da ciò chi egli è in se stesso: parola di Dio, vita e luce degli uomini, luce che illumina ogni uomo.

Dio, che ci hai strappati dal dominio delle tenebre
e ci hai trasferiti nel regno del tuo Figlio,
perché condividiamo la sorte dei santi nella luce,
donaci di vivere la grazia decisiva del nostro battesimo,
quando Cristo brillò su di noi.
Amen.

Non ti condanno

Gli scribi e i farisei condussero a Gesù una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio…».

Quando tutti se ne sono andati, cominciando dai più anziani, restarono lì – secondo Sant’Agostino -, in due: quella misera donna e la misericordia fatta persona. Gesù rivolge alla donna una domanda, ma non per interrogarla (la donna è colpevole del suo peccato), bensì per perdonarla: “donna nessuno ti ha condannato? Neanch’io ti condanno”. Si noti, prima il perdono: “Neanch’io ti condanno” e solo dopo, ma solo dopo, l’invito alla conversione: “D’ora in poi non peccare più”. A questo punto siamo in grado di capire che al centro dell’episodio, non sta il peccato ma il comportamento di Dio verso il peccatore. Ma quanta differenza da quanto accade oggi! Oggi è di gran moda giustificare tutto e tutti: Che c’è di male… lo fanno tutti. Così si diventa complici, perché traditori della verità. Scribi e farisei non mancano neanche nella nostra società occidentale. Si appellano a valori, gli stessi che vengono distrutti dai loro comportamenti! Gesù alla donna: Vai, muoviti da qui, vai verso il nuovo e porta lo stesso amore, lo stesso perdono a chiunque incontri. Il perdono è solo dono che non ci farà più vittime e non farà più vittime, né fuori né dentro di noi.

Signore, dammi la forza perché anch’io abbia il coraggio
di gridare contro la falsità, contro la guerra,
la stoltezza di chi lascia che il male vinca sull’innocenza
e sull’ignoranza di un giudizio affrettato. Amen.

Che faccio?

All’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui.

Il testo dell’evangelo odierno termina così: “E tornarono ciascuno a casa sua”. Coloro che avevano partecipato alla discussione sull’origine e sull’identità di Gesù, se ne tornarono a casa con le idee di prima e alcuni, come i sommi sacerdoti, se ne andarono pure arrabbiati e seccati perché, secondo loro, tanta gente non conosceva bene le Sacre Scritture e si lasciavano facilmente ingannare! Il pregiudizio di fondo di molti, è di non accettare la gratuità e l’irrompere di Dio nella storia umana al di là di ogni aspettativa. Anche a noi può succedere di chiuderci al nuovo che viene da Dio, perché ci siamo irrigiditi nei nostri schemi, ci siamo chiusi nelle nostre misere conoscenze.
L’episodio ci insegna come dobbiamo porci davanti a Gesù: non con l’atteggiamento di chi presume di sapere già tutto su di Lui perché ha studiato, ma con l’atteggiamento dei piccoli e cioè con umiltà e semplicità di cuore.

Perdonami, Signore, per tutte le volte
che non ho difeso il grido dei miei fratelli,
preferendo la via più facile che si astiene da qualsiasi pensiero
e applica, senza riserve, la sorda legge.
Amen.

Il ponte

Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto.

Gesù sale a Gerusalemme e il suo destino è già segnato! Ma non ha paura di rivelare la sua identità e dichiara di venire da Dio, di essere stato inviato da Lui: “Io non sono venuto da me stesso. Lui mi ha mandato”. Addirittura Gesù accusa le autorità religiose ebraiche di non conoscere Dio; proprio loro, che si vantano dell’elezione, della legge, del Tempio. C’è nelle sue parole un ammonimento anche per noi!
Davanti a questa rivelazione di Gesù, gli uomini devono compiere una scelta: riconoscere in lui l’inviato del Padre e accettare i rischi che questa scelta comporta. I pensieri di Dio non sono i nostri pensieri, le sue vie non sono le nostre vie, ma la distanza incolmabile tra noi e Lui è stata colmata da Gesù: egli ponte tra cielo e terra, ha reso testimonianza visibile del Padre, tutto è stato rivelato in Cristo. Chi non conosce il vero volto di Dio non può riconoscere Cristo come suo inviato. Vale anche il contrario: “Chi ha visto me, ha visto il Padre”, dice Gesù a Filippo.

Signore, molte volte mi trovo a non riconoscere
l’origine della voce che mi parla.
Aiutami a vivere ogni incontro come un’opportunità
per provare la mia fede e per rafforzare la speranza. Amen.

Le apparenze

«Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita. Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio».

Gesù, attraverso lo scontro con i giudei, sembra affermare due verità scomode anche per noi. La prima è che come cristiani siamo chiamati a conoscere l’esperienza di Israele, a rileggere tutto il cammino del popolo eletto come preparazione alla venuta del messia e “scuola” per noi. La seconda è una verità scomoda! È che Gesù non può venire riconosciuto da coloro che prendono gloria gli uni dagli altri. Se sono assorbito dalla mia esteriorità e da quello che la gente pensa di me, difficilmente riuscirò ad essere libero per scoprire la presenza di Dio in modo adeguato. Se sono molto più gratificato dalla domanda che ho posto che dalla risposta che mi porta verso la verità tutta intera, è molto difficile che riesca a fare spazio a Dio. Allora, cerchiamo l’unico che dona la vita e la gloria, lasciando perdere la fragile gloria degli uomini. Così impareremo ad essere più umili, autentici e liberi per potere accogliere la Parola di vita.

La tua Parola, Signore,
vuole modificare, fecondare, rinnovare
la stretta di mano che daremo,
lo sforzo che poniamo nei compiti che ci aspettano,
il nostro sguardo su coloro che incontriamo.
Amen.

Vita nuova

Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.

Gesù aveva detto precedentemente ai suoi discepoli che suo cibo era fare la volontà del Padre, ma non aveva evidenziato e spiegato la sua relazione profonda che lo lega al Padre. Il fatto che “si faceva uguale al Padre” e violava il sabato, aveva creato dissensi e opposizioni nei “Giudei” che avevano deciso di sopprimerlo. Invece per i cristiani delle origini, i brani utilizzati dalla liturgia odierna, costituivano la base per l’approfondimento del mistero di Cristo, sul suo essere uomo in tutto simile a noi, eccetto il peccato e sul suo essere uguale al Padre. Gesù chiama Dio suo Padre; il Padre ama il Figlio e in Lui si manifesta. In Cristo Dio si fa vicino: “Chi ascolta la mia Parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna”. Il potere del Figlio scaturisce, dunque, dalla relazione d’amore con il Padre di fronte al quale l’uomo è libero di scegliere di entrare in questo dono di comunione o se rifiutarlo, il che diviene motivo di autoesclusione dalla vita. Questa circolarità d’amore si schiude sin da ora, nel tempo della storia, grazie alla fede che fa passare dalla morte alla vita. È ciò che avviene nel battesimo, nel quale siamo passati da una condizione di morte spirituale alla vita nuova in Cristo, che ci ha resi capaci di amare Dio e i fratelli.

Insegnami a fare la tua volontà,
perché sei tu il mio Dio.
Il tuo spirito buono mi guidi in una terra piana.

Alzati…!

A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina».

Gesù, in un giorno di festa, salì a Gerusalemme, anche se non ci è possibile precisare quale festa ricorresse. Certamente il miracolo della guarigione del paralitico avvenne in giorno di sabato. Sorprende il fatto che nel “gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici”, Gesù abbia scelto proprio quell’uomo che era ammalato da trentotto anni e non aveva nessuno che lo immergeva nella piscina. È Gesù inoltre a prendere l’iniziativa e pone la domanda: “Vuoi guarire?”. È questa domanda che risveglia in quell’uomo il desiderio di guarigione che avviene con la forza non dell’acqua, ma della parola che risana. La sua Parola è autorevole, fa sempre quello che dice, come la parola creatrice all’inizio dei tempi: “Egli parla tutto è fatto; comanda e tutto esiste” (cfr Sal 32). Secondo il testo è proprio nel tempio che Gesù opera la guarigione più grande, quello dello spirito, offrendo al paralitico perdono e salvezza: “Ecco sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio”.

Padre, liberami da ogni ostacolo
che mi impedisce di camminare verso di te.
Sciogli le mie pigrizie e aiutami ad essere responsabile
della mia vita e degli altri. Amen.

Affidarsi…

Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.

L’evangelo odierno ci presenta Gesù che, passando per la Samaria, viene dalla Giudea alla Galilea e ritorna a Cana “dove aveva cambiato l’acqua in vino”! Durante questo cammino, Gesù compie un altro “segno”: la guarigione del figlio di un funzionario del re Erode Antipa, tetrarca della Galilea. A differenza degli altri segni compiuti da Gesù qui il miracolo avviene a distanza e la Parola anticipa l’evento della guarigione; il funzionario è sollecitato a credere, mentre custodisce nel cuore la promessa di Gesù, anzi la speranza piena di certezza: “Vai, tuo figlio vive”. Il funzionario regio, credendo nella disponibilità di Gesù Cristo e del suo potere terapeutico, è presentato da Giovanni come modello del credente. La fede è affidarsi a colui che crea “nuovi cieli e nuova terra”, che fa risalire dagli inferi, che può mutare il lamento in danza, che dà la vita eterna!

Signore, io credo in te, ma spesso rischio di vivere il passato
senza accorgermi che la vera gioia sta nel presente
che tu mi prepari. Amen.

Da veri fratelli

Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli…».

Al centro della parabola vi è la rivelazione del cuore del padre. A lui non interessa condannare e neppure assolvere, non interessa giudicare ma esprimere un amore incondizionato. Dio è esclusivamente amore! Il figlio maggiore torna dai campi, vede e entra in crisi. Non riesce ad accettare come fratello quel dissoluto (questo tuo figlio dirà): “Io ho sempre ubbidito, ho osservato tutti i tuoi comandi e a me neanche un capretto”. È l’uomo dei rimpianti, onesto e infelice che ha perso la gioia di vivere. Quanti cristiani sono così onesti e infelici “i cristiani del capretto”! (P. Turoldo). I due figli coabitano in noi, possiamo riconoscerci nelle loro illusioni. Anche in noi può prevalere l’immagine del figlio Maggiore, quando ci si accorge che l’omicida, il violento, il disonesto, il furbo sta meglio di noi… Allora Dio è ingiusto… e se deve fare preferenze lo deve fare con me che sono bravo. Perdonare, riconciliare e riconciliarsi, accettare l’altro che ha sbagliato, ridargli fiducia e possibilità di ricominciare, tutto questo equivale a passare dalla logica umana alla logica divina.

O Dio, accogli nell’abbraccio del tuo amore tutti i figli
che tornano a te con il cuore pentito;
ricoprili delle vesti della salvezza,
perché possano partecipare con gioia
alla cena pasquale dell’Agnello. Amen.

Umiltà

Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano».

Ciò che ci rende giusti non sono i nostri meriti, le nostre virtù. Ciò che vi è di nostro ci allontana da Dio, solo ciò che vi è di suo in noi ci avvicina a Lui, il suo perdono, la sua grazia accompagnati dalla penitenza e dalla fede… Ecco allora la lezione offerta a noi dall’evangelo: essa riguarda l’umiltà che si rivela virtù appropriata non solo al momento della preghiera, ma in ogni atteggiamento vitale del cristiano. L’umiltà è il passaporto per essere ammessi al regno di Dio. La preghiera è lo specchio della vita: essa rivela chi noi siamo e chi è Dio per noi; nella preghiera si evidenzia la nostra vera identità. Essere autentici: prendere le distanze, rifiutare ogni opportunismo, compromesso e denunciare tutte quelle situazioni che mortificano le persone: il fariseismo, il doppio gioco, il culto dell’apparenza, il formalismo, il rifiuto del diverso, l’uso strumentale di Dio. “Veramente il cristiano, per amore della fedeltà al Vangelo deve sentirsi servo di Dio e di nessun altro” (Don L. Milani).

O Dio, abbi pietà di me nel tuo amore.
Nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro.
Crea in me un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.
Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso. Amen.