Umiltà

Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano».

Ciò che ci rende giusti non sono i nostri meriti, le nostre virtù. Ciò che vi è di nostro ci allontana da Dio, solo ciò che vi è di suo in noi ci avvicina a Lui, il suo perdono, la sua grazia accompagnati dalla penitenza e dalla fede… Ecco allora la lezione offerta a noi dall’evangelo: essa riguarda l’umiltà che si rivela virtù appropriata non solo al momento della preghiera, ma in ogni atteggiamento vitale del cristiano. L’umiltà è il passaporto per essere ammessi al regno di Dio. La preghiera è lo specchio della vita: essa rivela chi noi siamo e chi è Dio per noi; nella preghiera si evidenzia la nostra vera identità. Essere autentici: prendere le distanze, rifiutare ogni opportunismo, compromesso e denunciare tutte quelle situazioni che mortificano le persone: il fariseismo, il doppio gioco, il culto dell’apparenza, il formalismo, il rifiuto del diverso, l’uso strumentale di Dio. “Veramente il cristiano, per amore della fedeltà al Vangelo deve sentirsi servo di Dio e di nessun altro” (Don L. Milani).

O Dio, abbi pietà di me nel tuo amore.
Nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro.
Crea in me un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.
Rendimi la gioia della tua salvezza,
sostienimi con uno spirito generoso. Amen.

Essere di Cristo

Si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”.

Lo scriba ha capito che il vero culto gradito a Dio non passa attraverso il vuoto formalismo religioso, ma attraverso un amore concreto per Dio e per l’uomo! Ma che cosa manca ancora a quel saggio scriba che condivide le idee morali di Gesù?
La risposta la dà il Vangelo nell’episodio che segue: accettare Gesù come messia; ciò che conta per la salvezza non è la morale, ma la fede in Gesù Cristo. Il messaggio dell’evangelo ci conduce a riflettere, oggi, più in profondità sul nostro essere cristiani.
Essere cristiani non significa solo non fare del male a nessuno ed essere animati da un sentimento umanitario. Anche lo scriba dell’evangelo riconosce l’esattezza della risposta di Gesù e ribadisce il primato della carità a ciò che viene offerto nel culto. La preghiera, la vita sacramentale, non hanno alcun significato cristiano se non danno luogo alla testimonianza, a gesti di carità, all’accoglienza, al perdono, alle relazioni costruttive con le persone. È necessario “rendere visibile il grande sì della fede” (Benedetto XVI).

Signore, desidero ritrovare la purezza del reciproco incontro
che rifonda, con una sola risposta, la mia stessa identità
e la renda riflesso della tua logica di amore. Amen.

Scegliere

Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni».

Le folle rimangono stupite dividendosi tra diverse opinioni: alcuni affermano che gli esorcismi che Gesù realizza si spiegano con un segreto accordo con Beelzebùl (altro nome di Satana). Come si può notare,Gesù risponde con due argomenti evidenziando l’assurdità dell’accusa: se fosse vero che egli scaccia i demoni con il potere concessagli dal loro capo, ciò significherebbe che il potere di satana sull’umanità è finito; il secondo argomento si basa sul confronto con l’attività degli esorcismi giudei (“i vostri figli”), anch’essi scacciano i demoni in nome di Beelzebùl?
Gesù sottolinea con autorità: “Se io scaccio i demoni con il dito di Dio”, cioè con la sua forza, allora “è giunto a voi il regno di Dio”. Ormai sappiamo che satana è sconfitto per sempre, perché Gesù è morto in croce ed è risorto. Egli è “l’uomo più forte”, egli sconfigge il male nel cuore di ogni uomo che decide in se stesso di stare con lui e di seguirlo. Ma a causa della fragilità umana il discepolo deve vigilare. Ciascuno di noi è continuamente chiamato a scegliere tra il bene e il male, tra l’essere generosi o ripiegati su stessi. Sta alla nostra volontà fare questa scelta.

O Signore, fa’ che morendo alla terra dell’uomo vecchio,
io possa rinascere a vita nuova,
a quella vita che è vera proposta di libertà. Amen.

Oltre mezze misure

«Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

In che senso Gesù porta la legge a pieno compimento? Non solo perché la esegue, ma perché ne mostra la realizzazione piena riducendola all’esigenza fondamentale che essa voleva servire: l’amore verso Dio e verso il prossimo. Seguendo la logica dell’amore, anche un piccolo jota della legge diventa importante, così come in famiglia è importante anche un minimi gesto che dice attenzione all’altro, rispetto, amore gratuito. Il Signore ci invita, dunque, a non cercare mezze misure. Inoltre, la proposta di vita che ci fa Gesù non è né quella fredda e distaccata di un moderno fariseo che osserva esteriormente la legge, in modo da sentirsi egoisticamente “a posto”; neppure è la proposta di vita avvilente, di colui che ignora la legge di Dio e pensa che per lui sia tutto a posto perché crede in Gesù, anche se la sua vita è piena di peccato. La proposta di vita di Gesù è quella alta e colma di fiducia che fa di noi dei credenti che stanno camminando per adeguarsi sempre più alla legge di Dio, ma non con le sole nostre forze, bensì con l’aiuto, la grazia e l’amicizia dello Spirito Santo che in Gesù ci è stato dato.

Rinnova in me i doni del tuo Spirito,
ravviva in me il coraggio e la forza di testimoniare con la vita
la tua infinita misericordia, o Signore,
e rendimi capace di agire sempre secondo la tua volontà.
Amen.

Eccomi

L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

“Ecco la serva del Signore”. La risposta di Maria rappresenta quello che all’uomo resta da fare: mettersi al servizio di Dio, senza se e senza ma. Viviamo in un tempo nel quale lo stupore risulta difficile, perché siamo immersi nel clamore del reclamizzato, nel torpore del già dato, nel grigiore di ciò che è banalizzato; manca spesso la linearità di scelte coinvolgenti, la necessità di esperienze forti. L’Eccomi di Maria è il ribaltamento totale di questa situazione, perché, dove la vita è abbrutita è rinnovata, là dove è programmata diventa vita donata, là dove è distrutta diventa vita salvata. Maria modello di responsabilità e di ogni vocazione: a lei deve rivolgere lo sguardo lo sposato, il celibe per il servizio al Regno, il ministro per ricomprendere la motivazione originaria degli inizi per superare la tentazione di fermarsi e di nascondersi. Con le sue ultime parole all’angelo rivela il nostro vero nome. Il nome dell’uomo è: Eccomi.

O Padre, che nel tuo Figlio
ti sei rivelato come l’Emmanuele, il Dio con noi,
infondi in me la tua grazia perché, come Maria,
possa accogliere la tua radicale novità
e possa fare spazio al mistero.
Amen.

Un cuore fresco

In quel tempo, giunto Gesù a Nazaret, disse al popolo radunato nella sinagoga: “In verità vi dico: nessun profeta è bene accetto in patria”.

Gettare Gesù giù dal precipizio resta una moda immutata, malgrado siano passati (inutilmente) duemila anni. Succedeva ai nazareni, succede anche oggi: Gesù è splendido, carino e simpatico, siamo devoti e discepoli fino a quando pensa ciò che penso e dice ciò che anch’io dico, fino a che resta al suo posto e dice cose (solo) rassicuranti. Mi diventa antipatico e provocatore se – malauguratamente – dice qualcosa che mi urta se, insomma, non la pensa come me… Il cristianesimo può esistere se accondiscende, se si adegua, se diventa politicamente corretto. Sennò, amen. Esiste, invece, un modo di amare che non è sdolcinato che, anzi, diventa severo e duro, che ci obbliga a verità. Non sempre chi ti dà una carezza ti ama e chi uno schiaffo ti odia. Sappiamo allora cogliere da adulti, senza cadere nello sconforto e senza reagire con suscettibilità, tutto ciò che il Signore, anche attraverso gli eventi, ci fa capire. E sappiamo digerire il Vangelo nella sua interezza, anche quando è politicamente scorretto e ci tratta come persone che hanno qualcosa da cambiare. E attenti noi, professionisti del sacro, frequentatori di sinagoga, discepoli di lungo corso, a tenere sempre il cuore fresco e attento ad ogni Parola che esce dalle labbra del Rabbì, anche quando non sono esattamente dolci, senza buttarlo giù dal precipizio…

Nella tua continua misericordia, o Padre,
purifica e rafforza la tua Chiesa,
e poiché non può vivere senza di te,
guidala sempre con la tua grazia..
Amen.

Portare frutti

Gesù diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.».

La parabola del fico sterile, pur nella sua brevità, è ricca di motivi. C’è il motivo della sterilità di Israele e della sua ostinazione al peccato. E c’è il motivo della pazienza di Dio, della sua misericordia e nello stesso tempo della provvisorietà. E un terzo motivo che parrebbe contraddire il precedente: l’urgenza della conversione. Questo tempo è di Dio e nostro! La tentazione di possedere il futuro è idolatria e la presunzione di essere padroni assoluti della propria vita. La vita è un dono e così anche il tempo: è necessario valorizzarli nella logica del Vangelo. Ma quali frutti stiamo producendo: interroghiamoci sulle nostre responsabilità! Convertiamoci sul serio e accettiamo la fatica del camminare dentro la complessità del presente e superiamo con fede la presunzione di essere a posto, onesti, di essere nel giusto perché osserviamo alcuni riti. Conversione, dunque, del cuore, del linguaggio, dei comportamenti, delle relazioni e portare frutti. Salvezza è portare frutti, non solo per sé anche per gli altri. Per star bene l’uomo deve dare. È la legge della vita!

Padre, per la tua giustizia rispondimi;
aiutami a comprendere se sto percorrendo una via di verità
e infondimi il coraggio che hai dato a Gesù
per affrontare le scelte difficili che mi attendono.
Nulla ostacoli il mio desideri di seguirti
e di mettere a frutto i doni che tu mi hai dato.
Amen.

Veramente figli

«Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Gesù è rivolto al popolo che cerca, che attende e che ha sete di quella vita che solo dalla Parola accolta scaturisce come sorgente di novità e di comunione. La parabola del Padre misericordioso e del figlio prodigo scaturiscono in Gesù dalla stessa identità con il Padre, dal bisogno di rivelare il segreto più intimo e vero dell’amore di un Dio che non vede l’ora di risollevare, riammettere, ridare dignità alla creatura, al figlio disperso, allontanato, coinvolto nella miseria di questo mondo. Miseria che attira misericordia. Misericordia che attende miseria. Ciò che impedisce di accogliere la novità di Dio sono i pregiudizi, il fatto di pretendere di conoscere già Gesù. Un rischio da cui nessuno è esente. Talvolta noi non cerchiamo Dio, ma solo i suoi vantaggi senza accorgerci che viviamo come servi e non come figli, pretendendo comprensione e aiuto quando tutto ci è messo a disposizione per essere felici. Il programma di Gesù e del Dio di Gesù è la salvezza universale e non il privilegio di alcuni.

O Signore, fortifica la nostra speranza con la tua Parola
e donaci di comprendere che siamo figli ai quali tutto è dato
di ciò che serve per essere felici qui e ora.
Mandaci il tuo Spirito d’amore
per solidarizzare tra noi come tra fratelli.
Amen.

La vigna

Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano…».

Il messaggio del vangelo odierno è centrato sull’immagine della vigna. È la giornata della delusione di Dio! Ma perché la vigna? Essa è stata scelta dall’Antico e dal Nuovo Testamento per esprimere la relazione tra il Signore e il suo popolo. Ecco l’insegnamento: la fede fa riferimento a Cristo, noi non siamo i padroni del mondo, ma servi che dobbiamo fruttificare per Dio. Per quanto siamo invitati a gestire la vigna del Signore, visibile nella Chiesa, questa non ci appartiene. Spesso ci arroghiamo i diritti del possesso e dei raccolti. A noi cristiani di oggi, il Signore consegna il Regno perché lo facciamo fruttificare; è un dono grande ma anche una responsabilità. A noi spetta di non dimenticare mai di essere creature, umili operai della vigna, che non è nostra, ma del Signore.

Padre giusto e misericordioso,
che vegli incessantemente sulla tua Chiesa,
non abbandonare la vigna
che la tu destra ha piantato:
continua a coltivarla e ad arricchirla di scelti germogli,
perché innestata in Cristo, vera vite
porti frutti abbondanti di vita eterna.
Amen.

L’altro…

Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto».

La morte segna il destino di ogni uomo: Lazzaro non può andare dal ricco, né il ricco andare da Lazzaro. La loro sorte è fissata in maniera irrevocabile! In che consiste il peccato del ricco? No nella cultura del piacere, no nell’amore verso il lusso. Il suo peccato è non avere dato: non un gesto, non una briciola, non una parola al mendicante lasciato solo con i cani. Lo sbaglio della sua vita è di non essersi neppure accorto dell’esistenza di Lazzaro. Non lo vede, non gli parla, non lo tocca: Lazzaro non esiste, non c’è, non lo riguarda. Questo è il comportamento che san Giovanni chiama, senza giri di parole, omicidio: “Chi non ama è omicida” (1Gv 3,15). Qui tocchiamo il centro del vangelo: avevo fame, avevo freddo, ero solo, abbandonato, l’ultimo e tu hai spezzato il pane, hai asciugato una lacrima, mi hai regalato un sorso di vita. Il male più grande è l’indifferenza, lasciare intatto l’abisso tra le persone. Invece “Il primo miracolo è accorgersi che l’altro, il povero esiste” (Simone Weil) e cercare di colmare l’abisso di ingiustizia che ci separa.

O Signore, rendi il mio cuore libero dalle false passioni,
liberami dall’idolatria della ricchezza e dell’orgoglio,
rendimi capace di rapporti autentici. Amen.