La tessitrice

Maria, da parte sua, custodiva gelosamente il ricordo di tutti questi fatti e li meditava dentro di sé. (Lc 2,19)

Maria tesse in comunione con Giuseppe il mirabile disegno di Dio, incrociando le parole della Scrittura con il suo sì docile ed appassionato, nel fascino di un intreccio quotidiano di dono e mistero, attesa e compimento. Tutto ciò ci dice come, benché sia forte in noi la presunzione di costruire da soli il nostro destino (cf CdA 136), la strada è un’altra e ci porta lontano, protesi verso un futuro che non conosciamo ma che ci affascina perché Dio l’ha pensato per noi, a misura delle nostre aspirazioni più profonde, e ce lo propone come dono del suo amore. Per cui non siamo vittime di un “destino” che s’impone dall’esterno o vi andanti solitari senza meta, ma protagonisti con Dio di un “progetto” come Maria, che non ha subìto passivamente l’evento dell’annunciazione, ma l’ha assunto come prospettiva di salvezza, per se stessa, per la famiglia che stava per costruire con Giuseppe e per il suo popolo, vivendo consapevolmente l’esperienza dell’imprevedibile amore di Dio che ci precede, ci supera e ci trascende.
Impegniamoci con Dio nell’arte della tessitura, intreccio mirabile tra la sua Parola e la nostra fedeltà creativa nella storia! Siamo fedeli e creativi, mettendo a frutto i doni dello Spirito che conduce ogni cosa al suo pieno compimento in Dio.

Maria,
tu che hai dato tutto di te
nell’arte della tessitura,
tra l’ordito di Dio
e la trama della storia,
intrecciando
con squisita e delicata premura
la Sua Parola con il tuo sì,
insegna al nostro cuore
dove e come cercare Dio,
con audacia e passione;
dove e come trovarlo,
con tenacia ed umile amore.

Una fede di fatti

Beata te che hai avuto fiducia nel Signore e hai creduto che egli può compiere ciò che ti ha annunciato”. (Lc 1,45)

Maria – scrive S. Agostino – ha concepito Cristo prima nel cuore che nel grembo” Cioè grazie alla fede e all’obbedienza, per le quali l’evangelista Luca la proclama beata, per bocca di Elisabetta. Una fede coraggiosa, che “fa fatti e non parole”, come quella che respiriamo nell’audacia di tanti uomini e donne che hanno scommesso tutto su Dio e sul suo regno, esprimendo, da credenti credibili, la loro dedizione a Dio e all’uomo perché hanno preso sul serio il dono e ’impegno del loro battesimo. Per la loro testimonianza di fede, Cristo ha continuato a nascere nel grembo del mondo! E noi, come Elisabetta, li acclamiamo beati, “ci congratuliamo, ci felicitiamo con loro, facciamo i nostri complimenti per quanto di buono è loro capitato” Cos’è dunque la beatitudine cristiana? Essa consiste nel fatto che Dio sta all’opera nella nostra vita e interviene in nostro favore, non perché noi siamo più bravi degli altri, ma perché Lui è padre e noi ci sentiamo figli. E di questa dignità di figli ne facciamo uno stile di vita per il quale siamo disposti a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere, persino alla vita stessa. Questa consapevolezza, che cresce man mano che ci lasciamo afferrare dalla bellezza e dal fascino del regno di Dio, ci rende beati, anche nelle tribolazioni.
Perseguiamo lo stile della beatitudine evangelica che è essenzialmente un temere il Signore, camminare nelle sue vie, odiare il male e amare il bene, affidarsi a Lui, ascoltare e custodire la sua parola e credere, infine, nel compimento delle sue promesse, pur non avendo visto.

Te beata, o Maria,
perché ti sei inoltrata speditamente
lungo le vie del Signore;
hai amato il bene
e respinto il male con orrore;
ti sei affidata a Lui, dimentica di te stessa;
hai ascoltato e custodito la Sua Parola
anche quando è stata
misteriosa e trafiggente;
e hai creduto nel compimento delle sue promesse,
esultando di gioia per Colui
che ti ha creata e chiamata madre.

La tenerezza

Perché mai la madre del mio Signore viene a farmi visita? Appena ho sentito il tuo saluto, il bambino si è mosso in me per la gioia. (Lc 1,43-44)

Dopo aver benedetto a gran voce Maria e il frutto delle sue viscere, Elisabetta pone alla cugina una domanda: Perché la madre del mio Signore viene a farmi visita? È lo stesso grido di meraviglia del re David (cf 2Sam 6,9) mentre l’Arca dell’alleanza veniva trasportata a Gerusalemme: “Come potrà venire nella mia casa l’arca del Signore?” Un parallelismo non casuale, a cui l’evangelista Luca tiene molto: fin dall’inizio del suo Vangelo, vuol riassumere tutto l’Antico Testamento. Il viaggio dell’arca avviene nella gioia, così il viaggio di Maria, il popolo grida di gioia al passaggio dell’arca, così Elisabetta di fronte alla visita di Maria. Tutto questo, per dirci che Maria è la nuova Arca dell’Alleanza. E come nell’Antico Testamento nell’Arca c’era la presenza del Signore, ora in Maria Dio ha preso dimora. Per noi gli orizzonti si allargano infinitamente: non ci è dato semplicemente di stare alla presenza di un Dio che sta al di fuori, nell’arca, ma di accogliere al di dentro, nel cuore un Dio che vuol prendere dimora in noi ed essere generato da noi. Un dono di incomparabile bellezza, che stupisce e intimorisce a un tempo! E che deve renderci sempre più “ospitali”, come è nello stile che ci caratterizza. Ospitali con Dio e con ogni uomo, che ci chiede accoglienza per sentirsi amato ed ospitato da Dio stesso.
Diamo a Dio ospitalità in casa nostra! Prepariamo gli un ambiente accogliente, cioè un cuore ben disposto, svuotato di ciò che è inutile e dispersivo, purificato dalla seduzione degli idoli, pronto all’ascolto, aperto al dialogo, educato alla preghiera, alla carità, alla vigilanza, all’attesa.

Maria,
dimora ospitale
della Divina Tenerezza,
nuova Arca dell’alleanza,
Madre del Signore Dio
e Madre nostra,
fa’ che anche il nostro cuore
diventi arca ospitale
e grembo fecondo
dell’alleanza nuziale con Lui.

Benedire

Elisabetta fu colmata di Spirito Santo e a gran voce esclamò: «Dio ti ha benedetta più di tutte le altre donne e benedetto è il bambino che avrai!». (Lc 1,41-42)

Benedetta tu, benedetto il figlio delle tue viscere!”, esclama Elisabetta, piena di Spirito Santo, dinanzi a quella giovane donna che custodisce in grembo l’Autore della vita. Benedetta Maria, arca dell’ alleanza e tenda di Dio, hl che sei stata amata, adombrata, visitata e fecondata dall’ Altissimo. E benedetto Gesù, “sorgente della benedizione di Maria”. E benedetto sia anche ogni uomo, poiché in Gesù, Dio ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale (Ef 1,3), per farci correre spediti lungo le vie luminose della santità, e così dargli gloria. Oggetto della benedizione può essere, come per la pace, la salute, la fecondità, l’abbondanza, la gioia della vita, ogni bene spirituale e materiale. La cosa importante è che la benedizione testimonia la presenza di Dio tra gli uomini e la sua infinita magnanimità. Benedire significa dunque annunciare un dono di Dio che susciterà gioia, stupore, riconoscenza e recherà un profondo senso di pace serena. Un dono che è avvolto dal mistero perché non viene né dipende dagli uomini, ma da Dio, che lo elargisce in forza della sua misteriosa onnipotenza. Come sempre, però, Dio si serve di noi. E ha dato all’uomo il potere di comunicare la benedizione: i genitori benedicono i figli, gli anziani i giovani, i sacerdoti il popolo. Chi benedice è stato a sua volta benedetto da Colui che l’ha colmato di doni, massimo tra tutti, come per Elisabetta, il dono dello Spirito Santo. Benedetti da Dio, benediciamo Dio: con cuore limpido e semplice, diciamo bene di Lui, lo lodiamo e lo ringraziamo per il suo amore fedele e per le meraviglie delle creature che Lui ha fatto.
Facciamo emergere il buono e il bello che c’è dentro di noi e attorno a noi, e per ogni aspetto positivo benediciamo Dio. Questo ci aiuterà anche ad evitare la critica corrosiva che in qualche modo è maledizione perché etichetta e scoraggia.

Maria, benedetta da Dio e da tutti noi,
aiutaci a ravvivare la fiamma lucente
della gratitudine a Dio,
affinché il nostro pregare
sia l’eco di quella benedizione
che, in Cristo,
abbiamo ricevuto abbondantemente
per correre spediti
verso i sentieri verdeggianti della santità.

Promessa e compimento

Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino dentro di lei ebbe un fremito. (Lc 1,41)

Giovanni “pieno di Spirito Santo fin dal grembo di sua madre” (cf Lc 1,15) sussulta di gioia: è la gioia dell’amico dello Sposo che incontra finalmente lo Sposo e pregusta l’esultanza delle nozze. I tempi di Dio, tra promessa e compimento, e le sue modalità rimangono misteriose, ma la fedeltà del Signore è stabile e dura in eterno. Egli porta sempre a compimento ciò che ha promesso per bocca dei suoi profeti (cf Lc 1,69). Abbandonarsi alla sua fedeltà allora è come celebrare una vittoria anticipata. Così è stato per Maria, per Elisabetta, per Giovanni, per lo stesso Gesù che sulla croce ha consegnato il suo Spirito al Padre e si è abbandonato alla Sua fedeltà entrando nella morte con gli occhi rivolti verso l’alba della domenica di Pasqua. Dall’oscurità del giardino del Getsemani, attraverso il Golgota, fino alla luce radiosa del giardino della risurrezione: così Cristo ha portato a compimento le promesse, in questo gioco di tenebre e luce, di dolore e gioia, di morte e vita. E in questo gioco di colori e di stati d’animo è coinvolta anche la nostra vita, di continuo. Eppure talvolta ci logoriamo nell’usura dell’attesa, ci smarriamo nella notte del dolore e non sappiamo andare oltre. La vita ci sembra un labirinto: ci sentiamo sterili e maledetti come Elisabetta, timorosi e muti come Zaccaria, e anche se la Parola di Dio ci viene incontro per offrirci prospettive di speranza, noi restiamo sospesi in questo abisso di fragilità e turbamento. E credere alle promesse di Dio, ci sembra assurdo.
“Credere è uscire da se stessi, fidarsi, obbedire, rischiare, mettersi in cammino verso le cose ‘che non si vedono’ (cf Eb 11,1), assumere un atteggiamento di accoglienza operosa che consente a Dio di fare storia insieme a noi, al di là delle umane possibilità”.

Maria, tu che sei stata docile strumento
nelle mani di Dio
affinché le Sue promesse
trovassero compimento in Cristo,
prega per noi, timorosi, paurosi, increduli,
“invecchiati dentro”, sterili e stanchi
affinché lo Spirito, ogni giorno,
illumini la nostra intelligenza,
e scaldi il nostro cuore
facendoci sentire infinitamente amati da Dio.

Shalom

Entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. (Lc 1,40)

Presso gli Ebrei la formula di saluto era “Shalom”, “Salute”, “Rallegrati”. E Maria, giunta ad Ain-Karim, – come annota il vangelo – saluta Elisabetta. Ma il suo non è un semplice augurio di pace e di gioia: lei portava in grembo il Principe della Pace e la pienezza della gioia messianica! “Ti do la mia pace” – avrebbe potuto dire Maria – “ti offro la mia gioia” Ma cos’è la pace presso gli Ebrei? Dire pace significa godere di buona salute, vivere nella dignitosa abbondanza, scampare un pericolo, incontrarsi in amicizia, visitare con affetto, evitare le discordie, sradicare l’odio dal cuore, offrire ed accogliere il perdono. La pace è un dono di Dio all’uomo bisognoso, debole e peccatore; un dono che conservi solo se lo offri, ad amici e nemici. Dio ti dona la pace perché tu, ricevendola con docilità e in obbedienza a lui, possa trasmetterla e concretizzarla nella tua vita. La pace non è un’invenzione dell’uomo, ma rispetto dell’armonia che già si trova nelle cose da Dio create per la nostra gioia. Intimamente legato a Maria, questo dono di Dio esige da ciascuno di noi un cuore accogliente e ben disposto affinché possiamo passare da un bisogno di pace (che resta emotivo) a scelte vere di pace, che chiedono decisioni coraggiose ed una nostra chiara collocazione di campo. Con gli umili e i poveri!
Valorizziamo: la forza della preghiera, la consapevolezza che dalla diversità, anche di fede, può scaturire fecondità e forza, la fiducia nel dialogo; la condanna della guerra e di ogni forma di violenza.

Maria, tu che hai accolto nel tuo grembo verginale
“il bambino nato per noi”,
Padre per sempre, Principe della Pace,
aiutaci a forgiare le nostre spade in vomeri,
le nostre lance in falci,
perché mai più un popolo alzi la spada
contro un altro popolo.
Che i nostri desideri di pace
diventino scelte coraggiose
in ordine ad una pace vera e duratura.
S’incontrino nei cuori, nelle case, nelle piazze
la misericordia e la verità,
e la giustizia e la pace si diano il bacio santo,
perché ci sia pienezza di gioia!

Zaccaria e Elisabetta

Zaccaria ed Elisabetta vivevano rettamente davanti a Dio, e nessuno poteva dir niente contro di loro perché obbedivano ai comandamenti e alle leggi del Signore. (Lc 1,6)

Siamo nel tempio di Gerusalemme, luogo sacro della liturgia, e mentre Zaccaria sta offrendo l’incenso gli appare un angelo che gli annuncia la nascita di un figlio, che sarà Giovanni Battista. Una nascita miracolosa, che semina sorpresa e imbarazzo, perché Elisabetta era sterile e anziana. Dal suo grembo appassito e spento, fecondato da Dio, sarebbe fiorita la speranza. L’anziana donna, più vicina alla morte che alla vita, avrebbe partorito il precursore della Vita stessa! Ma Zaccaria, che pur era giusto davanti a Dio e, come la moglie, irreprensibile nell’osservanza di tutte le leggi del Signore, dubita e chiede un segno. E lo avrà, ma sarà un segno doloroso e correttivo della sua incredulità: diventa muto, fino alla nascita del figlio, quando gli “si aprì la bocca… e parlava benedicendo Dio” (cf Lc 1,64). Ma perché Dio si serve di questi sposi? Diciamo che hanno due pregi: erano “giusti” e irreprensibili nell’osservanza della legge. Due qualità che vorremmo fossero il corredo di ogni famiglia cristiana. Due qualità, ma anche un dramma, che li addolora: non avevano figli e, data l’età, era anche tramontata la speranza di paterne avere. Se accetti di camminare a braccetto con la tua sterilità e i tuoi insuccessi senza disperarti, o imprecare contro Dio o sentirti castigato da Lui, se consegni i tuoi sogni e le tue speranze alla fedeltà del Signore, Egli ti restituisce il centuplo di ciò che tra le lacrime e con amore hai sofferto ed offerto.
Mettiamo insieme i tanti frammenti della nostra vita per riconoscere i passi del Signore che si fa nostro compagno di cammino anche nel buio delle vicende umane, ed infrange la nostra solitudine con i segni misteriosi della sua presenza, che ci ha lasciato la notte in cui veniva tradito…

O Dio, che in Zaccaria ed Elisabetta
ci hai rivelato la tua fedelt
insegnandoci a sperare
contro ogni speranza,
ricordati ancora del tuo popolo
e saziaci con i beni da te promessi,
affinché come Maria e Giuseppe
diveniamo tua famiglia
che accoglie e genera il Salvatore.

In fretta

Maria si mise in viaggio… e raggiunse in fretta una città di Giuda. (Lc 1,39)

Maria si mette in viaggio e raggiunge “in fretta” la cugina. Ma perché una partenza in tutta fretta? Crediamo che Maria sia stata spinta dalla sollecitudine per la cugina e dal desiderio di condividere le meraviglie operate, in entrambe, da Dio. Questa premura scorgiamo nel passo frettoloso di questa futura mamma che si lascia guidare dal realismo tenace della carità. E non dimentichiamo che mentre s’affretta e s’affaccenda per servire l’anziana parente, custodisce in grembo il ‘feto’ di Dio! In un contesto sociale e culturale come il nostro, in cui la carità sta in piedi sotto forma di fredda elemosina e cammina a rilento nella gelida burocrazia, mentre la dignità dell’uomo si arena con le tante carrette del mare che ‘scaricano’ sulle nostre spiagge uomini, donne, vecchi e bambini impauriti, smarriti, rifiutati e cancellati da ogni terra. Ebbene, dinanzi a queste vergogne, gli agili passi di Maria ci scuotano e ci sveglino, affinché la nostra carità si muova speditamente verso gli altri, si abbattano i muri di separazione issati dall’egoismo, dalla diffidenza e dall’indifferenza ed ogni uomo riconosca nell’altra non l’estraneo e il diverso, ma un altro se stesso. Questa, insomma, è la fretta che Maria ci contagia, e che noi dovremmo imitare ogni qualvolta ci accorgiamo che qualcuno può aver bisogno di noi, o che percepiamo che una nostra premura può far gioire il cuore dell’altro.
Ogni giorno, giunti a sera, verifichiamo la qualità della carità fraterna che ha insaporito la nostra giornata, a partire da come san Paolo ne parla ai cristiani di Corinto: “Chi ama è paziente e generoso. Chi ama non è invidioso, non si vanta, non si gonfia di orgoglio. Chi ama è rispettoso, non cerca il proprio interesse, non cede alla collera, dimentica i torti. Chi ama tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, non perde mai la speranza” (1Cor 13,4-7).

Maria, tu che in tutta fretta
ti sei fatta presente e premurosa,
recando ad Elisabetta
con volto raggiante
l’annuncio gioioso della visita di Dio,
fa’ che attraverso
le nostre mani e il nostro cuore
Dio stesso si chini ancora
a servire e ad amare.

Uscire per visitare

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta veso la regione montuosa, in una città di Giuda. (Lc 1,39)

Maria apprende dall’angelo la notizia della maternità già avanzata, e soprattutto inaspettata, della cugina Elisabetta. Appresa la notizia, che fa Maria? Si mette in viaggio, come Abramo per fede, come Gesù per obbedienza, e si dirige verso una cittadina di una regione montagnosa della Giudea, l’odierna Ain-Karim, dove abitava l’anziana parente.
Nazaret ed Ain-Karim distavano l’una dall’altra circa centotrenta chilometri. Una distanza ragguardevole per quel tempi, che richiedeva vari giorni di cammino, e per strade faticose.
Ma chi l’accompagnava? Un parente? Giuseppe? A chi poteva confidare come aveva appreso la notizia della maternità di Elisabetta, e chi poteva dar credito a questo suo racconto se non Giuseppe?! Certo, sono solo supposizioni. Quel che conta è che questa giovane coppia, invece di chiudersi a riccio sul proprio problema e sulla eccezionalità del momento che stava attraversando, si senta coinvolta dal bisogno di un’altra famiglia che stava vivendo con trepidazione un evento straordinario, segnato dalla gioia ma anche dalla fragilità: gestire una gravidanza e un parto in età avanzata era senz’altro a rischio, e avrebbe potuto compromettere la vita della madre e del bimbo! Da questa solidale scelta di servizio, scaturita dall’amore gratuito, oblativo, profondo di Maria e Giuseppe, cogliamo un messaggio per la nostra vita familiare e comunitaria, mai chiudersi nei propri piccoli o grandi problemi, ma sforzarsi costantemente di uscire fuori da se stessi per andare incontro agli altri.
Un maestro di spirito, a mo’ di preghiera, ci propone un atteggiamento di quotidiano gratuito amore: “Signore, importante è trovarmi ogni giorno là dove tu mi metti, senza ritardi”. (Ballestrero)

Maria, tu che ti sei fatta presente e premurosa,
dimentica, con Giuseppe, di te stessa,
dei tuoi bisogni, delle tue fragilità,
per assistere l’anziana parente
e in essa la debolezza di ogni creatura,
donaci di uscire dal guscio del facile
e del sicuro
per andare incontro agli altri
con amore ablativo,
profonda compassione e materna tenerezza.

Giuseppe, l’uomo giusto

Giuseppe, lo sposo di Maria, era un uomo giusto. (Mt 1,19)

Maria accoglie senza riserve la visita di Dio e l’annuncio della maternità. Eppure, agli occhi di tutti, a causa del figlio che porterà in grembo senza essere ancora sposata, sarebbe stata certamente considerata un’adultera, e quindi, secondo la legge, avrebbe potuto rischiare di essere lapidata o ripudiata dal suo promesso sposo. E Giuseppe, che ha amato Maria, le ha dato fiducia, e l’ha sognata, desiderata ed attesa come sposa e madre dei suoi figli, come ha potuto affrontare e superare il dolore, il disagio e l’imbarazzo per questa gravidanza inspiegabile? Per questa giovane coppia è stato davvero un tempo di prova, segnato da tanti perché… che Maria ha gestito con dignità e Giuseppe con discrezione, prudenza, chiaroveggenza e finezza! Atteggiamenti che Dio ha premiato, restituendo loro serenità e prospettive di futuro. Cosi Giuseppe, uomo giusto, retto, delicato e gratuito nell’amore, diventa per questo l’uomo giusto per Maria, e condivide con la sua sposa il fascino della verginità, entrambi attratti irresistibilmente dall’assoluto di Dio. Diventa anche il padre giusto per Gesù, allenandosi con agilità interiore allo stile imprevedibile di questo figlio che fin da piccolo spiazzerà i genitori per il mistero dirompente del suo essere vero Dio e vero uomo. La visita di Dio ha dunque segnato e forgiato la vita di questa giovane coppia. Non cè stato contrasto tra i loro desideri e il progetto di Dio, ma la fatica dell’assimilarsi al mistero. Un mistero che bussa anche nell’intimità delle nostre case, e c’inquieta, facendosi talvolta sconvolgente..

Rispondiamo a Dio in ogni situazione della vita e cerchiamo sempre la sua volontà, accogliendo con serena sottomissione gli eventi favorevoli o tristi e facendo il bene “con cura, spesso e con prontezza”.
non come coloro che “mangiano senza gusto, dormono senza riposare, ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare”.

Maria, tu che sei stata segnata
dall’inedito di Dio
e hai perseverato insieme con Giuseppe
nella notte della prova,
fa’ che possiamo orientare al Signore
le energie della nostra intelligenza,
volontà, affettività
per crescere ed annunciare con la vita
la durevole gioia dell’amore autentico e disinteressato.