Padre nostro

Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.

Quante parole diciamo ogni giorno? Quante per raccontare, ordinare, chiedere; quante volte con affetto alle persone care e quante invece per mettere a tacere quelle più moleste? Eppure di tutte queste parole, poche hanno la forza di quelle che Gesù insegna ai suoi discepoli per imparare loro a pregare nel modo giusto. Sono parole essenziali: a partire dalla prima, Padre, dicono già un tono, una relazione, una profondità che, ai discepoli come a noi oggi, appare inedita. Gesù ci insegna a chiamare Dio con il nome di Padre. Cambia l’immagine e l’immaginario che abbiamo di Dio. Sono parole che dicono tutto ciò che l’uomo può dire davanti a Dio, perché non serve dire altro. Dalla relazione custodita del nome di Dio “Padre”, derivano le domande più vere per la nostra vita, ciò che Dio vuole e può fare per noi e ciò di cui abbiamo bisogno: la santità del suo nome e il suo regno “già” venuto e sempre veniente, il pane per nutrirci e condividere, il perdono per amare nella verità e la fiducia di essere sostenuti nella tentazione. “Il Padre nostro è la preghiera per eccellenza! Gesù non lascia i suoi discepoli nell’incertezza: con questa preghiera egli li conduce alla perfetta chiarezza del pregare” (D. Bonhoeffer).

Preghiamo il Padre nostro, fermandoci, come indicava sant’Ignazio, a ogni parola. E rimaniamo a meditare fino a quando possiamo.

Sporcare le mani

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio…».

Il vangelo ci presenta una scena dove è rivelata, più che la sentenza ultima, la verità ultima sull’uomo e cosa resta della vita quando non resta più niente. Resta l’amore del prossimo. “Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere e tu mi hai aiutato”. Sei passi di un percorso dove la sostanza della vita è sostanza di carità. “Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!” Il povero è come Dio! Carne di Dio sono i poveri, i loro occhi sono gli occhi di Dio, la loro fame è la fame di Dio. Se un uomo sta male anche lui sta male. Nella seconda parte del racconto ci sono quelli mandati via, perché condannati: “Via da me… perchè ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare”. Qual è la loro colpa? Il loro peccato è non avere fatto niente di bene. Non sono stati cattivi o violenti, non hanno aggiunto male su male, non hanno odiato: semplicemente non hanno fatto nulla per i piccoli della terra: indifferenti!

Donami, Signore, il coraggio di cercare la tua volontà
e di sapermi “sporcare le mani”
nel mio cammino di conversione a te.
Fammi comprendere che seguirti
è stare al servizio di coloro che sono più bisognosi. Amen.

Il deserto

Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse…

Oggi è la prima domenica di quaresima: essa ci propone un itinerario di conversione; convertirsi è una scelta che comporta un cambiamento radicale del modo di pensare e di vivere. Le tre tentazioni che ha sofferto Cristo. Tre tentazioni del cristiano che cercano di rovinare la verità alla quale siamo stati chiamati. Tre tentazioni che cercano di degradare e di degradarci. La prima: “Che queste pietre diventino pane! Non di solo pane vive l’uomo” Il pane è buono, ma più buona è la parola di Dio. Il pane è indispensabile, eppure contano di più altre cose: le creature, gli affetti, l’eterno in noi. L’uomo vive di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. La seconda tentazione è una sfida aperta a Dio. “Buttati giù, chiedi a Dio un miracolo”. Ciò che Pietro, con la sua irruenza, chiede al maestro una sera sul lago: fammi venire da te camminando sulle acque. Fa tre passi nel miracolo eppure comincia ad affondare. I miracoli non servono per credere: Gesù ha fatto fiorire di prodigi Galilea e Samaria, eppure i suoi lo vogliono buttare giù dal monte di Nazaret. Nella terza tentazione il diavolo rilancia: venditi alla mia logica, e avrai tutto. Il diavolo fa mercato con l’uomo: io ti do, tu mi dai. Esattamente il contrario di Dio, che ama per primo, ama in perdita, ama senza contraccambio.

Resta con noi, Signore,
nell’ora della prova.

La conversione

Gesù vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. Gesù disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano».

Gesù si trova nella zona di Cafarnao quando incontra Levi, un pubblicano che riscuote le tasse. È incompreso nel suo agire da parte dei farisei e degli scribi, i quali affermano che questo non va bene perché frequenta la casa di un peccatore. Ma il maestro di Nazaret risponde alla provocazione dei suoi avversari, che non sono i sani ad aver bisogno del medico ma i “malati”. L’atteggiamento di Gesù, a pensarci bene, disturba anche noi, perché alcuni sono praticanti senza curarsi troppo del Regno di Dio. Tutto questo ci fa irritare. Ci sentiamo tanto bravi perché andiamo a Messa e svolgiamo qualche attività in parrocchia. Forse conviene invece togliere la maschera di “cristiani realizzati” per svelare il vuoto che abbiamo dentro! Anche noi abbiamo bisogno di conversione per lasciare le nostre sicurezze, i nostri pregiudizi per intraprendere la strada al seguito della voce che ci chiama.

Ci sono anch’io, Signore, tra quei peccatori.
Sono qui seduto tra i pubblicani, le prostitute, i lebbrosi,
tra tutti quelli che la società ha escluso.
Sono qui seduto perché ho riconosciuto
che io non sono meglio di loro e che ho bisogno del tuo aiuto.
Amen.

Tempo di gioia

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno».

Nella polemica con i farisei, circa l’osservanza del digiuno, Gesù prende la difesa dei suoi che in quel momento costituiscono “i figli delle nozze”, cioè gli invitati a stare più vicino allo Sposo. Verrà il momento in cui lo Sposo sarà “tolto dalla terra dei viventi” (Cfr Is 53,8) e allora sarà tempo di digiuno. Seguono due esempi che contengono una dichiarazione esplosiva: i tempi dell’attesa sono finiti, non è più il tempo di digiunare. Tuttavia l’antico non è abolito, bensì ritrovato, perché gli otri nuovi sono fatti per contenere vino nuovo, ma anche il vino stagionato è buono. La realtà nuova, significata dalla presenza di Gesù, l’Emmanuele, il Dio con il suo popolo, è tesoro che rende tutto prezioso.

Dona, o Signore, a tutti gli uomini
di gustare con cuore grato
la beatitudine di esserti commensali
nel banchetto eucaristico,
quello stesso in cui tu dispensi il vino nuovo
dell’amore e della gioia:
il calice del tuo sangue versato per la nostra salvezza.
Amen.

Rinnegare se stesso

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».

Dopo la confessione di Pietro, Gesù annuncia la sua morte e risurrezione. Nei versetti del vangelo di Luca letti, troviamo l’invito e le condizioni per la sequela contenute in tre verbi: rinnegare se stessi, prendere la propria croce e seguire. Forse non c’è pagina più difficile di questa da accettare, perché rinnegare se stessi è più difficile che prendere la croce sulle spalle! Rinnegare se stessi richiede “un’operazione chirurgica” nel nostro egoismo; vuol dire mettere al primo posto non “l’io” ma l’altro… perchè in lui c’è Cristo stesso. È mettersi dal punto di vista di quella che il vescovo Tonino Bello chiamava “Chiesa del grembiule”, dove il servizio diventa il distintivo di ogni cristiano; ci si converte amando, si ama convertendosi. Prendere la croce, contemplarla e assumere la carne del povero, dell’oppresso, di chi è collocato ai margini del potere: uscire da sé per istaurare una nuova relazione con gli altri.

Santa Maria, aiutaci a portare il fardello
delle tribolazioni quotidiane, non con l’anima dei disperati,
ma con la serenità di chi sa di essere custodito
nel cavo della mano di Dio.
Amen.

Ritornate

Così dice il Signore: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male».

Il mercoledì delle Ceneri con il suo rito austero ed eloquente, ci mette tutti davanti allo specchio del Vangelo e ci introduce nel cammino quaresimale per lasciarci incontrare da Dio. La Quaresima favorisce la ‘conversione’ del tempo in opportunità per un cambiamento del cuore. Il nuovo sguardo di fede fa cogliere il potere trasformante della ri-creazione: il tempo è nelle mani di Dio, che opera per modellare l’esistenza dei suoi figli e la realtà del mondo. Ne deriva che la spiritualità della Quaresima non consiste nel fare qualche azione buona in mezzo a molte cattive, ma nel ritrovare la sorgente di guarigione e di salvezza, nell’impostare “una vita ricca che trasforma tutti i momenti del tempo in finestre attraverso le quali l’invisibile diventa visibile” (H. Nouwen). È tempo di verifica per la vita cristiana in famiglia, nella politica, nell’educazione, nelle associazioni e movimenti, nelle parrocchie, ed essere fermento o lievito buono da immettere nella società nella misura in cui ci si lascia fecondare dal Vangelo.

Quaranta giorni davanti a noi, Gesù:
ecco un dono prezioso per la nostra vita di fede,
un’occasione per sperimentare
una nuova primavera dello Spirito.
Amen.

…anche tu

L’anima mia magnifica il Signore.

Ogni gesto di amore è segnato dalla mano solerte di Maria. Come ogni nostra liturgia è accompagnata dal cantico del Magnificat. Ecco, perché ogni sera la Chiesa canta questo inno, con un cuore sempre pieno di riconoscenza, per le meraviglie che Dio sa compiere con te, ogni giorno. Ogni Vespro si chiude con il cantico del Magnificat. Ogni giorno si addormenta con un grazie. Ogni passo di servizio si fa lode. E ogni lode porta al servizio. Questo sia il tuo cammino futuro. Ed ogni coppia, che suona il campanello della casa vicina, trovi la stessa accoglienza che si è intrecciata tra Maria e Giuseppe con Elisabetta e Zaccaria. Ed ogni sera, almeno tre Ave Maria salgano dal cuore di tutti. Ogni sera. Certi che questa piccola sosta di preghiera permette di aprire la finestra alla speranza di un giorno più bello.

O Maria,
tu che hai saputo credere
nell’adempimento della Parola,
apri sempre il nostro cuore alla fede,
specie nei momenti del dolore
ed aiutaci a saper ringraziare
con fiducia, sempre,
l’agire del Signore in mezzo a noi,
lui che abbatte i potenti
e innalza gli umili.
Fa’ che le nostre mani,
sollecite per il bene degli altri,
siano capaci di servire
in gratuità e letizia, come le tue,
ed i nostri cuori
sempre sappiano pregare,
come te, ogni sera,
per magnificare un Dio
che mai si stanca
di compiere grandi cose,
anche nella fragilità
dei nostri paesi
e del nostro cuore.

Servire

Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi. Poi tornò a casa sua. (Lc 1,56)

Una piccola annotazione, a margine di un grande canto di lode. Un appunto, che potrebbe sembrare di poco conto, dopo una sinfonia dai toni così elevati. E invece, in questo trattenersi di Maria presso la casa della cugina Elisabetta per circa tre mesi, c’è il motivo stesso del suo andare in fretta verso Ain-Karim. Il motivo è la carità “sollecita”, la signoria del servizio nell’amore, quasi un’anticipazione dell’insegnamento di Gesù. “Io sto in mezzo a voi come un servo” (Lc 22,27). Osiamo dire con audacia che, prima ancora di Gesù, Maria, sua madre, ha deposto le vesti, preso un asciugatoio, versato dell’acqua in un catino e lavato i piedi ad una figlia d’Israele per circa tre mesi, mostrandosi Madre di Dio e madre nostra fin da allora: il Maestro, suo figlio e nostro Signore, nella notte oscura del tradimento, esprimerà in pienezza ciò che aveva imparato da Maria. Noi diremmo: “Gesù è tale e quale sua madre!”
Sentiamoci contagiati nell’impegno da questo pensiero di una grande convertita francese, Madeleine Delbrèl. “Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione, prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi dell’asciugatoio e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici dagli amici, e lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, del carcerato, dell’omicida, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio finché tutti abbiano capito nel mio il tuo amore, Signore”.

Maria, tu che,
con carità sollecita,
hai servito in Elisabetta
ogni figlio d’Israele,
dona alla Chiesa di Cristo
di andare per il mondo
a servire ogni uomo e tutto l’uomo,
finché ogni uomo abbia capito
che l’amore di Cristo
trasfigura ed accende
il cuore dei credenti.

Oltre…

…per sempre. (Lc 1,55)

Questa espressione di Maria, che chiude il Magnificat: “Per sempre… “, è come il tocco finale di una sinfonia struggente; raccoglie e intensifica ciò che le note precedenti hanno via via fatto gustare. Tutto ciò che Maria ci ha raccontato di Dio vale… per sempre! Per sempre manifesterà la potenza del suo braccio, disperderà i superbi, rovescerà i potenti, innalzerà gli umili, sazierà gli affamati, svuoterà le mani dei ricchi, soccorrerà i suoi servi e si ricorderà della sua misericordia. Per sempre: un’esigenza dell’amore inteso nella sua totalità è proprio quella dell’eternità. Ecco, Dio ci offre la più bella e inviolabile promessa. il mio amore e il vostro amore dura per sempre, per sempre s’incroceranno i cuori di Cristo e della sua Chiesa, dello sposo e della sposa. E fin da ora, lungo il nostro peregrinare, pregustiamo la gioia di questa eternità, sentendo ci avvolti e custoditi dall’amore infinito di Dio, che Gesù ci ha palesato nell’ultima cena: “in finem”, cioè ci amò fino alla fine, eternamente. Siano rese grazie a Dio, …in eterno e per sempre!
Che il nostro amore e le promesse, nel matrimonio, nell’amicizia, nel sacerdozio, nella vita consacrata, si sottraggano alla precarietà e alla temporaneità, e siano “per sempre”!

Tu, Maria,
hai detto il tuo sì ‘per sempre’.
Lungo questo pellegrinaggio
di gioia e dolore,
hai cantato la tua fedeltà a Dio
sentendoti avvolta
dal suo amore infinito.
Aiutaci ad essere fedeli
alle promesse di Dio
amando per sempre,
sperando per sempre,
credendo fino al giorno
in cui la visione
non avrà più bisogno
del sostegno della fede.