Timor di Dio

La sua misericordia resta per sempre con tutti quelli che lo servono. (Lc 1,50)

La misericordia di Dio celebrata da Maria è quella che ci partorisce continuamente a vita nuova, che ci visita persino nell’abisso del male, tendendo verso di noi le braccia forti della riconciliazione. Tuttavia la misericordia non è merce che si possa comperare a basso prezzo al mercato delle infinite opportunità di un dio bonaccione. Ci vuole un requisito indispensabile per essere ben disposti ad accoglierla, come ci avverte Maria. bisogna “farsi suoi docili servi”, l’avere quello che un tempo si chiamava il “santo timor di Dio”. Oggi si parla poco di questa virtù che andrebbe rivisitata, nella catechesi e nella formazione, per quello che effettivamente significa. Il timore, nel nostro comune sentire, è infatti un sentimento piuttosto negativo, che dice poco amore e tanta paura. Il “santo timore di Dio” invece è tutt’altra cosa: dice tanto amore e poca paura, ma ti indica anche la dimensione dell’obbedienza docile e della riverenza filiale, rispettosa a Dio. Che è sensibilità e delicatezza. In una parola: amore, amore puro limpido delicato gentile.
Rispolveriamo il santo timor di Dio, senza ‘temere’ di risultare antiquati, parliamone ai nostri figli, a casa, a scuola, in parrocchia. Soprattutto educhiamoci ad esso e consideriamo che “il timore divino è inizio di ogni speranza”.

Madre di Dio,
dolce amante del Cristo
tuo Figlio e tuo Sposo,
facci vibrare di amore
puro, limpido, delicato, gentile
perché possiamo
essere timorati di Dio,
tanto poveri
da poter accogliere
a piene mani
la sua misericordia
e tanto ricchi
da poterla donare
dopo averla ricevuta.

Essere misericordia

…santo è il suo nome. (Lc 1,49)

Santo è il suo nome” – proclama Maria. Dicendo con questo che Dio è “persona santa senza confronto” La santità di Dio consiste nella potenza del suo essere misericordia e fare misericordia. Ed è potenza che salva. Salva, se tu lo vuoi, perché Dio non s’impone, ti rispetta nei tuoi “sì” e nei tuoi “no”. La santità di Dio, dunque, e la sua onnipotenza si fanno pressante appello, oggi, per noi. Qui, nei nostri paesi, come nel resto del mondo. “In questa ora tanto grave per tutta l’umanità” segnata da continue guerre, “dalla violenza inaudita e dalla caparbia determinazione con cui, da una parte e dall’altra, si continua ad avanzare sulla strada della vendetta e della ritorsione”, come ci ebbe a dire il papa Giovanni Paolo II inviando un accorato invito alla pace, più che mai dobbiamo fermarci a riflettere sulla santità e l’onnipotenza di Dio, che è più incline ad amare che a dominare, a perdonare più che a castigare, a correggere più che a punire, a redimere più che a colpevolizzare. Il ricorso alla violenza contraddice il Vangelo e la santità di Dio! Non lasciamoci vincere dal male! Dobbiamo imparare sì a resistergli con forza, ma in modo diverso, cercando di vincere il male con il bene, in nome del Dio Santo in cui diciamo di credere. Lo vediamo e ascoltiamo ogni giorno: rispondere con l’odio e la vendetta non serve a niente, anzi accresce la spirale della violenza e distrugge la dignità di un popolo.
Guardando alla santità di Dio, camminiamo per vie di misericordia, benevolenza, comprensione, tolleranza, mitezza, pazienza, amore.

Maria, madre di Dio,
il cui nome è santo,
donaci di essere sole di misericordia
là dove viviamo,
facendo crescere in noi e attorno a noi
la vita, la fiducia, la gioia, la gratuità;
e non nube di malcontento,
giudizio, vendetta, odio, violenza…
affinché ogni uomo
riconosca in noi,
che gli tendiamo il cuore e le mani,
un tratto del volto di Dio che lo accoglie.

Gratitudine e stupore

Dio è potente: ha fatto in me grandi cose. (Lc 1,49)

Nell’Antico Testamento, questo è come un ritornello popolare, che viene ripetuto lungo i secoli da Israele mentre ricorda e rivive la storia della salvezza. Le grandi cose operate da Dio riguardano l’insieme dei benefici da lui realizzati, primo fra tutti l’esodo dall’Egitto, e poi da Babilonia. Attraverso Maria si compie l’esodo definitivo, che supera e porta a compimento tutti gli altri. è l’evento dell’incarnazione dell’Unigenito di Dio nel suo grembo verginale, il manifestarsi del Dio-con-noi, liberatore e salvatore. È un Dio che ci tende le braccia, e colma ogni attesa, liberandoci dal peccato e dalla morte. Per cui non c’è più spazio nella nostra vita per la paura. Non c’è più buio fitto: basta ‘slanciarci’ in Lui con fiducia illimitata ed accettare la nostra storia di peccato e grazia, di tenebre e luce. Maria si è slanciata verso Dio, ha fatto esperienza della sua anni potenza e ha contemplato le grandi cose che Lui ha operato perché non si è lasciata guidare dalle intenzioni cattive che escono dal cuore degli uomini (cf Mc 7,22), ma dalla grazia dello Spirito Santo. E nel Magnificat ci ha indicato un metodo per sostenere la fatica del camminare secondo lo Spirito: trovare ogni giorno un motivo in più per amare come Dio ci ama, facendo leva sulla memoria grata e stupita di ciò che Lui ha fatto per noi.
Esercitiamoci ogni giorno nel cogliere “le grandi cose” che Dio compie in noi e attorno a noi. E a sera, prima di abbandonarci alla quiete del riposo, facciamone memoria riconoscente, prolungando il Magnificat di Maria.

Ti affidiamo, Maria,
le grandi cose
che Dio ha compiuto anche in noi.
Aiutaci a custodirle
nelle profondità del cuore,
a non disperderle
nei meandri della superficialità
e dell’indifferenza,
a saperle condividere con i fratelli
perché si sentano
confermati e rafforzati
nella fede,
nella speranza e nell’amore.

Danza di lode

Tutti, d’ora in poi, mi diranno beata. (Lc 1,48)

Beata l’aveva già proclamata Elisabetta perché Maria aveva creduto che Dio mantiene ciò che promette. Maria però va oltre: si autodefinisce beata non in virtù del suo credere, ma per la bravura di Dio che salva, feconda e innalza. Bello quel suo “d’ora in poi”, solenne, determinato, che scandisce senza mezzi toni il tempo nuovo che è già cominciato. A partire da questo momento – sembra dirci Maria – niente sarà più come era nella mia vita. Ho coscienza che ciò che Dio ha fatto in me è così grande che tutte le generazioni mi chiameranno beata. “Beata Vergine Maria”, canta infatti incessantemente la Chiesa da duemila anni, con gli occhi puntati sul mistero di Dio che da quel momento della storia, da quel luogo del pianeta, da quella semplice famiglia, da quel cuore di piccola donna si è fatto visibile e ha riversato su di noi grazia su grazia, perché diventassimo lode e gloria di Dio, in Cristo Gesù. “Tutte le generazioni”, dunque anche la nostra. Tocca a noi oggi chiamare beata Maria di Nazaret. Non per incensarla esprimendo una lode solo vocale, sganciata dalla vita. Pronunciare questa beatitudine significa riproporre, a livello esistenziale, nell’oggi del mondo e della storia l’esperienza di Maria, ripercorrendo nella nostra vita le tappe del suo sì a Dio.
Rinnoviamo le nostre promesse battesimali con spirito di accoglienza del dono della fede, fuggendo il volontarismo dell’’’io faccio, io sono, io posso, io devo…” Il Vangelo, infatti, si fonda sul dono ricevuto, non sul dovere che siamo capaci di compiere con puntigliosa fedeltà.

Con Maria, anche noi beati
per il sacramento della nostra rinascita,
ti lodiamo, ti benediciamo e ti glorifichiamo, Signore.
Dal cuore squarciato del tuo Figlio
hai fatto scaturire per noi
il dono nuziale del battesimo,
prima Pasqua dei credenti,
inizio della vita in Cristo,
fonte dell’umanità nuova.
Dall’acqua e dallo Spirito,
nel grembo della Chiesa vergine e madre,
tu generi il popolo sacerdotale e regale,
radunato da tutte le genti
nell’unità e nella santità del tuo amore.

Questione di sguardi

Dio ha guardato a me, alla sua povera serva. (Lc 1,48)

Maria avrebbe potuto mandare liberamente all’aria il progetto di Dio. Ma non l’ha fatto perché si è sentita “guardata” da Dio. È in questo sguardo di Dio il segreto del sì di Maria, in quegli occhi di Dio che s’incarneranno nello sguardo di Gesù. Chi di noi non ha subìto il fascino di quel “fissatolo, lo amò”, che ha scaldato per un attimo il cuore del giovane ricco che chiedeva a Gesù cosa dovesse fare della sua vita? Quando ti lasci guardare da Dio, la tua vita ne viene trasformata, e non riesci più a sottrarti al suo sguardo penetrante che t’avvolge e ti sconvolge, mentre t’innamora e ti seduce. E per questo amore spazzi via tutto ciò che t’impedisce di corrergli dietro: lacci, catene, nostalgie, rimpianti. Occorre dunque lasciarsi incontrare dallo sguardo di Dio che continua a costruire in noi la sua storia di amore, amicizia, dialogo, gioia, salvezza. E in questo incrociarsi di sguardi, imparare ad ascoltare, accogliere, rispondere alla sua grazia. Ovvero: ascoltare, accogliere e rispondere a Cristo.
Rimaniamo sotto lo sguardo di Dio che ci rivela chi siamo, ci fa uscire allo scoperto, ci chiede qualcosa e ci invita, ci attira e ci dà la voglia di stargli dietro, come è stato per Maria.

Maria,
tu che hai fissato
il tuo sguardo
sullo sguardo del Figlio tuo,
lasciandoti coinvolgere
dal suo desiderio
di salvare il mondo,
fa’ che, purificati
da ogni seduzione del male,
i nostri occhi
sappiano incrociare
lo sguardo di Gesù,
sorgente di amore e gratuità,
per condividere con lui
la passione e la gloria.

Vuota di sé

…perché ha guardato a me, alla sua povera serva. (Lc 1,48)

Umile, povera serva. Così si percepisce Maria dinanzi a Dio. Umile, cioè povera, fragile. Che non vuol dire mettersi all’ultimo posto per essere chiamati al primo, abbassarsi per essere esaltati dagli altri, come facciamo noi, farisei superbi sotto la maschera di umili pubblicani, quando ci presentiamo a capo chino e ad occhi bassi ostentando un basso sentire di noi stessi che però lascia intendere tutt’altro che la consapevolezza del nostro niente. L’umiltà di Maria scaturisce dall’aver fatto chiarezza in sé, dall’aver accettato con gioia il suo vuoto per farsi riempire da Dio. Noi diciamo “piena di grazia” ma potremmo anche dire: “vuota di te”. Per cui non andiamo in cerca di cose grandi, ma al contrario guardiamo con animo da bambini a colui che solo è grande e che tuttavia si è fatto l’ultimo di tutti, per dare l’esempio da seguire: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (cf Mt 11,29). Serva, di più, meglio, schiava – così si è percepita Maria. Che vuol dire totalmente afferrata dalla volontà di Dio e immediata nell’obbedienza. Maria ha coltivato in sé questo sguardo vigile, pronto ad assecondare Dio, immediato nell’accoglienza amorosa e nella gioiosa esecuzione dei desideri di Dio. Oggi, Maria ci offre uno stile di vita che esalta la priorità della grazia attraverso le vie dell’umiltà e della fiducia, con gli occhi spalancati dinanzi al mistero dell’amore di Dio, in gioia e gratuità!
Indirizziamo il nostro essere e il nostro agire verso strade di umiltà e semplicità, facendo scelte alternative ben precise in ordine al nostro rapporto con Dio, con gli altri e con le cose. Scelte che “parlino”, che siano cioè segno. Ne focalizzo almeno una, e su quella sono fedele.

Maria, umile donna di Galilea,
serva docile e ancella innamorata,
tu che hai corrisposto
con immediatezza
allo sguardo seducente di Dio,
fa’ che anche noi
possiamo alzarci
e correre verso di lui
attirati dallo splendore
della sua incomparabile bellezza,
e visceralmente coinvolti
dal suo desiderio di salvare ogni uomo.

Piena di gioia

Dio è mio Salvatore: sono piena di gioia. (Lc 1,47)

Maria esulta perché ha fatto un’esperienza felice, unica, sconvolgente: ha incontrato Dio, riconoscendo il suo volto tra mille, si è fidata di Lui, gli ha offerto un grembo ospitale, e così la buona novella del Vangelo si è fatta carne in Lei. Maria si è abbandonata alla logica dell’amore, scommettendo tutto sulla gratuità e sul fascino di Dio, come può fare solo una donna innamorata del suo sposo. Con stupore adorante, ora esulta, si compiace dell’Amato, come di Colui che salva, e non di se stessa, come destinataria privilegiata del dono. A lei è toccato di essere primizia di salvezza e di gioia, per muoversi per prima verso la nuova Gerusalemme, come una sposa adorna per il suo sposo (cf Ap 21,1-2), ritta nella speranza di vedere Dio all’opera nel tergere le lacrime dagli occhi del suo popolo, in mezzo al quale non ci sarà più la vittoria definitiva della morte, né lutto, né lamento, né affanno perché, in Gesù, è stata aperta davanti all’uomo di ogni tempo una porta che nessuno può chiudere (cf Ap 3,8) e che introduce nel regno dei cieli. Una porta spalancata verso l’eternità, che fin da ora possiamo varcare nella misura in cui, come Maria, ci lasciamo interpellare dal Vangelo. Nel cantico di Maria, lo vediamo bene, è raccolta tutta l’eredità dell’Antico Testamento, e con essa le attese di un popolo, ed oggi le nostre: il grido soffocato dal pianto nel tempo della schiavitù si fa voce d’esultanza, il lamento nel giorno dell’angoscia diventa canto di giubilo, e le vesti stracciate nell’ora del pentimento si trasformano in tuniche di salvezza.
Entriamo con fede nella logica delle beatitudini e poniamo in Cristo la nostra gioia!

Raccogli, Maria,
le nostre lacrime
e le nostre speranze,
liberaci dalla presunzione
e dall’autosufficienza,
dal pessimismo e dalla paura
e donaci di esultare ogni giorno
della nostra vita
dinanzi al volto del Signore
che inonda di gioia
chi si espone alla luce del suo Vangelo.

La grandezza di Dio

Allora Maria disse: “Grande è il Signore: lo voglio lodare” (Lc 1,46)

Magnificat: Maria con questa parola vuol indicare il contenuto del suo cantico: lodare la grande opera di Dio per rafforzare la nostra fede, consolare gli umili e scuotere tutti i potenti della terra. Ma cosa significa “magnificare”? “Far grande”, “tenere in gran conto”, vuol dire: “io magnifico Dio, apro lo spazio al Signore, l’anima mia non è che una testimonianza viva della sua grandezza smisurata. Dio, certo, non ha bisogno in se stesso che noi lo ‘facciamo grande’ Siamo noi che, nel nostro cuore, abbiamo bisogno di tenerlo in gran conto, noi che possiamo rimpicciolirlo e ridurlo, oppure possiamo aprirci allo stupore, alla lode, alla contemplazione della grandezza del suo amore infinito. Maria, dunque, fa grande Dio nella sua vita e scioglie il suo cantico di lode perché lo coglie come Signore che irrompe nella sua esistenza povera e infeconda, trasfigurandola, e si manifesta come Amore infinito, Onnipotenza che salva e trionfa vittoriosa sul male. Facciamoci dunque un’idea grande di Dio, attingendo al tesoro della rivelazione che ci viene dalle Scritture e dalle meraviglie operate da Lui nella storia! Capita infatti che lo rimpiccioliamo e lo deformiamo riducendolo a nostra immagine e somiglianza. Ci facciamo l’idea di un dio severo, vendicativo, pronto a punirci severamente, a bacchettarci o a ritirarsi da noi se sbagliamo, e verso di lui coviamo un sordo rancore; oppure ci creiamo l’immagine di un dio indifferente al male e al dolore presente nel mondo; o addirittura ci trastulliamo nell’idea un dio bonaccione che passa sopra a tutte le nostre magagne senza battere ciglio.
Lasciamo emergere i fatti positivi della nostra vita in cui abbiamo percepito l’azione di Dio che ha operato avvalendosi della nostra povertà.

Insegnaci, Maria,
a magnificare Dio
nella nostra vita,
coltivando lo stupore e la lode,
la conoscenza di Lui
e la riconoscenza
per le meraviglie
operate dalla sua infinita
misericordia.

La tessitrice

Maria, da parte sua, custodiva gelosamente il ricordo di tutti questi fatti e li meditava dentro di sé. (Lc 2,19)

Maria tesse in comunione con Giuseppe il mirabile disegno di Dio, incrociando le parole della Scrittura con il suo sì docile ed appassionato, nel fascino di un intreccio quotidiano di dono e mistero, attesa e compimento. Tutto ciò ci dice come, benché sia forte in noi la presunzione di costruire da soli il nostro destino (cf CdA 136), la strada è un’altra e ci porta lontano, protesi verso un futuro che non conosciamo ma che ci affascina perché Dio l’ha pensato per noi, a misura delle nostre aspirazioni più profonde, e ce lo propone come dono del suo amore. Per cui non siamo vittime di un “destino” che s’impone dall’esterno o vi andanti solitari senza meta, ma protagonisti con Dio di un “progetto” come Maria, che non ha subìto passivamente l’evento dell’annunciazione, ma l’ha assunto come prospettiva di salvezza, per se stessa, per la famiglia che stava per costruire con Giuseppe e per il suo popolo, vivendo consapevolmente l’esperienza dell’imprevedibile amore di Dio che ci precede, ci supera e ci trascende.
Impegniamoci con Dio nell’arte della tessitura, intreccio mirabile tra la sua Parola e la nostra fedeltà creativa nella storia! Siamo fedeli e creativi, mettendo a frutto i doni dello Spirito che conduce ogni cosa al suo pieno compimento in Dio.

Maria,
tu che hai dato tutto di te
nell’arte della tessitura,
tra l’ordito di Dio
e la trama della storia,
intrecciando
con squisita e delicata premura
la Sua Parola con il tuo sì,
insegna al nostro cuore
dove e come cercare Dio,
con audacia e passione;
dove e come trovarlo,
con tenacia ed umile amore.

Una fede di fatti

Beata te che hai avuto fiducia nel Signore e hai creduto che egli può compiere ciò che ti ha annunciato”. (Lc 1,45)

Maria – scrive S. Agostino – ha concepito Cristo prima nel cuore che nel grembo” Cioè grazie alla fede e all’obbedienza, per le quali l’evangelista Luca la proclama beata, per bocca di Elisabetta. Una fede coraggiosa, che “fa fatti e non parole”, come quella che respiriamo nell’audacia di tanti uomini e donne che hanno scommesso tutto su Dio e sul suo regno, esprimendo, da credenti credibili, la loro dedizione a Dio e all’uomo perché hanno preso sul serio il dono e ’impegno del loro battesimo. Per la loro testimonianza di fede, Cristo ha continuato a nascere nel grembo del mondo! E noi, come Elisabetta, li acclamiamo beati, “ci congratuliamo, ci felicitiamo con loro, facciamo i nostri complimenti per quanto di buono è loro capitato” Cos’è dunque la beatitudine cristiana? Essa consiste nel fatto che Dio sta all’opera nella nostra vita e interviene in nostro favore, non perché noi siamo più bravi degli altri, ma perché Lui è padre e noi ci sentiamo figli. E di questa dignità di figli ne facciamo uno stile di vita per il quale siamo disposti a rinunciare a qualsiasi altra cosa, per quanto importante e cara possa essere, persino alla vita stessa. Questa consapevolezza, che cresce man mano che ci lasciamo afferrare dalla bellezza e dal fascino del regno di Dio, ci rende beati, anche nelle tribolazioni.
Perseguiamo lo stile della beatitudine evangelica che è essenzialmente un temere il Signore, camminare nelle sue vie, odiare il male e amare il bene, affidarsi a Lui, ascoltare e custodire la sua parola e credere, infine, nel compimento delle sue promesse, pur non avendo visto.

Te beata, o Maria,
perché ti sei inoltrata speditamente
lungo le vie del Signore;
hai amato il bene
e respinto il male con orrore;
ti sei affidata a Lui, dimentica di te stessa;
hai ascoltato e custodito la Sua Parola
anche quando è stata
misteriosa e trafiggente;
e hai creduto nel compimento delle sue promesse,
esultando di gioia per Colui
che ti ha creata e chiamata madre.